ASA, OSS, Educatori, RGQ, Receptionist, Medici, Infermieri, Psicologi, Addetti alla Sanificazione, Cuochi, Assistenti Sociali, Direttori, Uffici Accoglienza, Fisioterapisti, Personale Amministrativo e Manutentori. Non è semplicemente l’elenco delle Professioni presenti nel mondo Korian. Non sono solo incarichi e mestieri, ma sono persone vere.

Professionisti che si sono messi in gioco con coraggio, fatica ed intraprendenza. Donne e uomini coraggiosi che hanno combattuto in prima linea contro l’epidemia al fianco dei pazienti e degli ospiti del Gruppo, tanto da poter esclamare con fierezza “Korian siamo Noi”.

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Ed è proprio da questo motto che nasce la rubricaKorian Siamo Noi”: una rassegna che ha l’obiettivo di presentare volti, parole ed emozioni dei protagonisti di queste dure settimane, dove ognuno ha dato il meglio di sé senza mai arrendersi. Mettendo, proprio come nella filosofia del Gruppo Korian, il paziente sempre al centro.

Un modo per valorizzare e mettere in luce il loro lavoro ed il loro pensiero. Affinché la loro esperienza possa aiutarci e darci forza e spunti per reagire.

Esperienza che si condensa in una lettera scritta a più mani da questi protagonisti, che vogliamo condividere. Parole, sensazioni, ma soprattutto emozioni.

“Leggere di tutte queste critiche sulle RSA mi fa male al cuore. Mi fa male al cuore come figlia, come essere umano e come persona che lavora in una struttura sanitaria, indipendentemente dal ruolo professionale. Vorrei gridare che non è così, che non è vero, che le RSA non sono prigioni dorate, che gli ospiti non sono numeri o vittime e che noi operatori non siamo i loro carnefici. Come si fa a spiegare a chi non è mai entrato in una struttura, come si vive lì dentro?

Provo a chiedere ad un’anziana signora che con disarmante sincerità e prontezza mi risponde: “Io qui mi sento protetta, voi mi fate sentire sicura! Quando ero in ospedale non vedevo l’ora di tornare qui, di tornare a casa!”. Su una cosa sono d’accordo però: non tutti possono fare questo lavoro, perché oltre alla formazione, ci vuole qualcosa in più, bisogna avere il coraggio di vivere a contatto con la sofferenza e la fragilità umana tutti i giorni.

Io all’inizio piangevo spesso. Sentirmi chiedere da un anziano “Dov’è la mia mamma?”, mi faceva star male. E allora forse poi, un po’ il cuore lo proteggi, perché capisci che non puoi essere di aiuto o di sostegno se ti lasci travolgere dalle emozioni e non mantieni un certo equilibrio. Bisogna saper lasciare i propri problemi dentro l’armadietto e salire al piano per iniziare il turno di lavoro, che non consiste solamente, come molti credono in mansioni di igiene.

Significa prendersi cura di una persona: sostenerla fisicamente e psicologicamente, nutrirla, lavarla, monitorare la sua salute, il suo umore, aiutarla a svolgere azioni quotidiane a cui non può più assolvere da sola, garantendone la dignità. E per questo è necessaria una equipe di professionisti composta da differenti figure. Diventano parte integrante della vita della struttura anche altre figure non necessariamente sanitarie che spesso, interagendo fra loro e andando oltre i propri ruoli, contribuiscono a creare momenti di leggerezza e spensieratezza fondamentali per il benessere globale di ognuno.

Significa conquistare la fiducia di quella persona, imparando ad osservare e a conoscersi giorno dopo giorno, magari comunicando solo con gli occhi, perché le parole sfuggono e questo tipo di comunicazione non è più possibile. Significa avere la pazienza e l’energia per rispondere con gentilezza sempre alle stesse domande, di sedersi accanto ad un anziano che ha bisogno di sostegno durante il pasto, e saper non sostituirsi, perché continuare ad alimentarsi da solo, seppur con fatica, è una grande autonomia che incide positivamente sul benessere della persona. Significa essere lì tutti i giorni, anche quelli di festa e nonostante questi siano inevitabilmente scanditi da ritmi e orari lavorativi, cercare di trasmettere la serenità necessaria a costruire una quotidianità rassicurante.

Sappiamo bene di non poter sostituire l’affetto dei familiari o il calore della propria casa, ma ogni giorno entriamo in turno consapevoli di lavorare nel rispetto della dignità delle persone”.

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